Progetto per Casole, Surasi Kusolwong, 2001

Surasi Kusolwong è nato nel 1965 ad Ayutthaya in Tailandia. Dopo aver compiuto studi in Germania, dal 1996 vive e lavora a Bangkok. Dal 1997 Surasi crea un progetto originale: installationi/mercati dove vengono messi in vendita un'ampia serie di oggetti a prezzi concorrenziali.

Le installazioni si ispirano al variopinto mondo dei mercati del Sudest asiatico: luogo d'aggregazione sociale, di incontri, di scambio di merci colorate e contrattazioni, dove tutto si può comprare e tutto è in vendita.

Surasi si diverte e trasforma l’arte in un gioco interattivo dove il pubblico è sempre l'attore principale. Estetica del poco e dell'esaurimento con un solo imperativo: «tutto deve sparire».

Surasi Kusolwong ha partecipato a importanti  rassegne internazionali come la Biennale di Kwangju in Corea, la Biennale di Taipei (2000), la Biennale di Sidney (1999) e alla grande esposizione "City on the Move" presentata a Vienna, Bordeaux, New York, Humlebaek, Londra, Bangkok e Helsinki.

Surasi Kusolwong intervistato da Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi

È la prima volta che allestisci un mercatino vero e proprio in un luogo pubblico?

No, era già successo a Pescara, sotto le arcate di un ponte sull’autostrada. La differenza di luogo rispetto a Casole è evidente: a Pescara si trattava di una struttura urbana, un luogo inutilizzato, non frequentato e ho voluto portare della vita in questo spazio, mentre a Casole i rapporti umani sono calorosi e le persone sempre presenti. Il luogo da me scelto, davanti al palazzo comunale, è già frequentato, ho solo voluto ampliare la presenza umana. 

Fai dei veri e propri mercatini nei paesi o nelle città dove la gente si raccoglie intorno a prodotti di uso comune. Che relazione hai con i mercati?

È una relazione che si fonda su i miei  ricordi: è la vita di tutti i giorni. Quando ero piccolo dovevo andare ogni giorno con mia madre o con mia nonna a comprare quello che ci occorreva e questa azione si ripeteva tutti i giorni, tutte le settimane, tutti gli anni. Nei luoghi di mercato si incontra altra gente, si parla con i vicini, con gli amici, i parenti, ci si raccontano storie e si chiede aiuto. Tutto accade di solito al mattino. Si può seguire l’andamento della propria comunità, della propria società, attraverso il ritmo del mercato. Quando mi sono avvicinato al mondo dell’arte, poche sono state le cose in cui ho notato altrettanta naturalezza. Il mercato dell’arte è ben diverso dal mercato a cui mi riferisco. Nessuno è interessato alla tua vita, nessuno vuole darti delle cose: si tratta di una pura e semplice transazione economica. Il mercato come lo intendo io è un luogo di sentimenti, di rapporti umani e perciò possiede numerosi significati. 

Perché un mercatino mobile a Casole?

Un mercato mobile implica diverse direzioni. Ti sposti da una parte e dai vita a una situazione con oggetti mobili. Non si tratta della mobilità degli oggetti stessi, è una caratteristica delle nostre sensazioni che sono messe in moto con questo tipo di mercato. Possiamo fare acquisti. Possiamo comprare degli oggetti per noi o per altri, portarceli a casa o trasferirli in un altro paese. Questo genere di oggetti in movimento non riguarda solo le persone, ma anche la scena artistica, che si muove in varie forme di presentazione. Così ho usato la piazza di Casole: come campo di situazioni. Le conseguenze del mio mercato saranno visibili all’interno di molte abitazioni del paese. Casole ha mille e duecento abitanti: quando si porteranno a casa i miei oggetti li useranno come sarà loro più utile e inizieranno a vivere con questa nuova presenza. Ecco perché il titolo dell’installazione è “La vita continua”.

C’è un legame con i veri mercati che si incontrano nelle campagne da un paese all’altro o nel contesto urbano da un quartiere all’altro?

Certo, tutto è in movimento. Casole è piena di oggetti in movimento, la connessione con altre città è già avvenuta. Qualsiasi cosa avvenga New York si sa. Trovo strano il mercato dell’arte. Non sono affatto interessato a come è strutturato e solo fortuitamente mi trovo a dover rapportarmi con i suoi meccanismi. È senza vita. Non è a scala umana. È troppo lontano. Anche se per fare il nostro lavoro occorrono soldi, il denaro non può generare il mondo dell’arte. Non è sufficiente. Manca qualcosa. Il mercato dell’arte è un sistema chiuso, il mercato reale è aperto. Per molte persone è difficile comprendere, seguire e avere contatti con il mercato dell’arte. È strano.

La sola analogia tra il mercato dell’arte e il mercato di tutti i giorni sta dunque solo nella parola. 

Il mercato di tutti i giorni è per gente comune, senza limitazioni. E’ naturale. Ha inizio appena sorge il sole. Il supermercato è diverso, ogni articolo è catalogato come nel mercato dell’arte (pittura, scultura, fotografia…), un sistema di consumo con tanto di registratore di cassa. In entrambi i casi ricreo un luogo per la comunità: il mercato è il luogo degli scambi (di sentimenti, oggetti, pensieri) e i festoni sono una specie di celebrazione, attraverso l’uso  dello spazio tra due edifici. Questi oggetti appesi rimandano ai panni stesi nelle strade italiane. Ma il loro senso va ben oltre. Sono un legame tra persone, hanno una loro gioia. Il loro messaggio non è affatto utopico, sono un invito a godere e celebrare la vita. Una celebrazione collettiva che interessa tutta la comunità. 

Alla fine della mostra i festoni saranno divisi tra gli abitanti delle case  da dove sono appese le corde e allora inizieranno a usare gli oggetti. La mia opera per me ha inizio davvero da quel momento, non dalla installazione nella strada.

Non proponi forme ma esperienze.

Esattamente. Quando il mercato si muove perde la sua forma, o meglio non la perde, la cambia, ne crea una nuova, una più vicina alla gente, alla comunità. Immagina gli oggetti che entrano in tutte le case e assumono tante forme quante sono le persone che li hanno acquistati. È una struttura aperta. C’è chi stabilisce un rapporto con l’oggetto usandolo e chi lo prende solo perché è economico senza saper bene che farne. Ma una cosa è essenziale: la gente alla fine si dimentica che è un’opera d’arte. E la usa come meglio crede. 

Credits
Surasi Kusolwong
1.000 Lire Market (La vita continua), 2001, casole d’Elsa
Arte all’Arte 2001
courtesy Associazione Arte Continua – San Gimignano (SI)
foto Attilio Maranzano